Recensione “La Voce dell’Anima” dott.ssa Maddalena Tomas

Recensione “La Voce dell’Anima” dott.ssa Maddalena Tomas

Recensione “La Voce dell’Anima” dott.ssa Maddalena Tomas

Dott.ssa MADDALENA TOMAS
Dott.ssa MADDALENA TOMAS

Psicologa Psicoterapeuta

DirettoreResponsabile UO dipartimentale Servizio di Psicologia Ospedaliera – Dipartimento di salute mentale – Az. Ulss 9 Treviso

 

Recensione “La Voce dell’Anima” dott.ssa Maddalena Tomas

La voce dell’anima

Diario di una crisi che mi ha aiutato a cambiare

Treviso martedì 14 novembre 2017

Vorrei esordire dicendo che sono molti i libri che raccontano la storia della propria malattia, in particolare l’esperienza del cancro. Alcuni sono testimonianze più o meno in forma di diario o di cronistoria dalla diagnosi al percorso di cura . Benché molti siano toccanti, non tutti riescono a superare la cronaca e il vissuto personale per approdare a considerazioni che molti, se non tutti, potrebbero sentire come proprie.  Questo libro di Luca lo fa.

Inizialmente non mi è stato semplicissimo comprendere l’artifizio letterario che mescola due filoni, due storie, due storie di crisi: quella di malattia di Luca e quella relativa alla crisi “professionale” di uno-molti imprenditori: in entrambi i casi possiamo parlare di crisi (pag 51) . Il nesso che accomuna queste due esperienze umane è la crisi; parola alla quale tendiamo a dare un’accezione negativa. Ma l’etimologia greca ( verbo krino: separare, cernere, discernere….giudicare-scegliere) contiene anche una parte di positività: separare implica valutare-discernere, scegliere, e quindi la possibilità che la scelta sia migliorativa.

Recensione “La Voce dell’Anima”: due crisi.

Due crisi che si concludono molto diversamente: una, quella di Luca, potremo dire con una vittoria, non tanto e non solo sulla malattia, quanto più in generale su se stesso e sulla vita; l’altra, o almeno una delle altre (imprenditore/i in crisi) con una sconfitta, il suicidio, la rinuncia a combattere e alla vita. Cosa ha fatto la differenza, almeno dal punto di vista soggettivo, non da quello degli eventi che non possiamo modificare? Leggendo la dedica di Luca, direi che la differenza l’ha fatta la solitudine o il suo contrario, indipendentemente dalle persone che abbiamo intorno.

Premetto che la mia lettura è parziale: privilegia uno solo dei due piani: in quanto sanitario mi sono sentita più vicina e mi sento più competente a parlare del piano che parla dell’ esperienza di malattia; poco dirò dell’altro, di quello che si riferisce alla società, alla crisi, come crisi personale ma anche sociale ed economica.

Credo non sia stato facile per Luca, persona “pubblica”,  parlare di alcuni aspetti della sua malattia, senza entrare nei dettagli,  talvolta tecnici e irrilevanti, e farlo con un certo distacco ed ironia. Eppure ci ha parlato dei suoi pensieri più intimi, di quelle emozioni socialmente “inconfessabili” , come del non senso di certe frasi di circostanza da parte di conoscenti o delle parole imbarazzate da parte di amici.

Ho apprezzato la capacità di esporsi …ma non troppo; se si scrive di un’esperienza come questa è impossibile non esporsi ma è anche facile scivolare sulla china del personalismo e a volte del “narcisismo” , dell’intrinseco egocentrismo che tutti abbiamo e qualcuno anche con una vena di “mediaticità”.

Oggi è difficile esporsi-mostrarsi senza mettersi a nudo del tutto, senza esibirsi.

Luca parla della malattia come “prova”, come opportunità: “Insomma si fanno i conti con ciò che fino a quel momento si è stati e sui propri atteggiamenti con il prossimo, con se stessi, con i propri cari, con l’amore, con l’odio , con il sesso, con i soldi ,con le albe e i tramonti, con i ricordi e le speranze, con la paura e i desideri e con tanti altri aspetti di quello che si può descrivere con una parola: vita” .

Recensione “La Voce dell’Anima”: i temi fondamentali.

Questo libro sfiora a volo radente temi fondamentali: la società, il rapporto con i medici, i conoscenti, la famiglia, gli amici . “…non è facile avvicinare chi sta male, chi sta nella sofferenza, chi magari non vede alternative al dolore. Non sa allora se chiamare, se mandare un messaggio, se presentarsi per una visita. Io che non volevo nessuno, oggi posso dire che la miglior cosa è andare, magari farsi vedere solo un minuto, sorridere e tornarsene a casa. .E’ un atto d’amore che funziona. Una visita è come un seme . I suoi frutti si vedono dopo.” (pag 84) . Dice anche dei messaggi inutili, concludendo che ”Altrimenti è preferibile il silenzio”. Spesso sentiamo il problema di “cosa dire?”…quando bisogna solo esserci. Già, con un famoso aforisma “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Wittegenstein)

Mi piace il coraggio con il quale ha stigmatizzato i comportamenti di certi conoscenti, gli auguri “mediatici” da “fan sportivi”. Dobbiamo riconoscere che la malattia ci costringe all’autenticità; sappiamo che le persone si dividono tra coloro che vanno morbosamente in ospedale a trovare chiunque per sedare la loro ansia, quasi un rito ordalico, e coloro che non vanno mai in ospedale, spaventati dal solo metterci piede……

Parla con giusta critica di alcuni medici e con stima di altri, senza cadere nell’acredine o nella retorica…il che non è facile (pag 38) e invita a prendere in mano la cura della propria malattia, con dignità ed assertività anche e soprattutto verso i curanti, i medici, senza timori, senza reverenzialità, poiché l’attivazione, la partecipazione attiva e convinta alle cure  contribuisce all’efficacia delle cure stesse.

Luca ha parole di gratitudine per coloro che lo hanno curato ma non evita di dire dell’analfabetismo comunicativo di molti medici: di quanto siano difesi, evitanti, scissi. Questi termini tecnici solo per dire che non sono stati formati a comunicare “chiaramente ed umanamente” con i pazienti, né a proteggersi dall’eccesso di sofferenza del lavorare con la malattia senza diventare appunto “distanti, incomprensibili, freddi, quando non vagamente “crudeli”, passatemi il termine: quando una cosa è difficile da dire la si butta lì, piattamente, a prescindere dall’interlocutore. Con le sue parole: “Mi son fatto l’idea che il miglior medico è quello che, a sua volta, è stato disteso in un letto di ospedale.” Personalmente non sono del tutto d’accordo con Luca… mentre concordo che i medici e i sanitari tutti dovrebbero sollecitare, sostenere , stimolare i malati a “dare un senso alla malattia, per ridare un senso alla vita, cercando di mettere in moto quel potenziale che tutti abbiamo, ma che non sempre siamo disposti ad utilizzare”. I curanti insomma possono essere i catalizzatori della trasformazione della crisi determinata dalla malattia in “opportunità”, che, a volte, è anche “un’ultima chiamata”.  Ma non dobbiamo mai banalizzare o ancor peggio correre il rischio di colpevolizzare. “La crisi va vissuta con consapevolezza che può portare ad un cambiamento del proprio punto di vista. Non sono le parole, ma è l’esperienza a fare la differenza. La crisi può diventare una nuova strada da percorrere, ma non è scontato che si riesca ad imboccare questa strada… Faccio quel che posso. E dove porta questa nuova via? Alla ricerca di un nuovo equilibrio.“ Un nuovo equilibrio che può essere un nuovo assetto di priorità, di valori, che passa anche dalla spiritualità. Anche su questo Luca si preserva con pudore e riservatezza dal dire tutto, convinto probabilmente che ognuno deve trovare la Sua di strada. E quindi il suo libro è un “invito”, parafrasando il titolo di un libro molto bello Cinque inviti (Frank Ostaseski), invece di cercare di gridare la propria verità, che appunto è la “propria” e di nessun altro.

Recensione “La Voce dell’Anima”: la scrittura autobiografica.

Avendo scelto di scrivere Luca ci dice che non possiamo sfuggire al processo di significazione, che per noi umani è in un certo senso condanna e salvezza. (pag 67) E poi dice della forza del gruppo per raccontarsi e ascoltare e riflettere su come eravamo prima della malattia: con i nostri nodi da sciogliere e le nostre potenzialità. (pag.119) Luca si occupa di scrittura autobiografica: scrivere può essere un mezzo per ri-significare la nostra storia , raccontandola e condividendola con altri. Scrivere implica di per sé un processo trasformativo del pensiero.

“Se fin da piccoli ci insegnassero a non avere paura, anzi se fin da piccoli anche a scuola, ci fosse una materia che insegnasse l’importanza della nostra mente e del nostro cuore, della nostra volontà e dei nostri desideri, del saper ricevere i doni e del saper ingraziare, potremmo vivere la nostra vita in maniera diversa.” “Guarigione è sperimentare l’onestà con se stessi” . Luca suggerisce che ci sia una pedagogia del prendersi cura di sé, io direi della consapevolezza, fin da bambini. Chiunque abbia conosciuto una malattia importante sa quanto sia facile colpevolizzarsi o cedere a spiegazioni fantasiose rispetto ad una genesi di tipo emotivo-psicologico; ma “la guarigione, non sempre coinvolge anche il corpo. Capita che il corpo venga piegato dal corso della malattia, ma che, durante la malattia, l’anima e le emozioni arrivino a una guarigione spirituale. “ (citazione dal libro Al giardino ancora non l’ho detto di Pia Pera)

Questo libro non cede alla tentazione di parlare di cure, più o meno utili, inutili integrative o alternative. Parla di ciò che sempre, anche nella situazione più terribile possiamo fare noi per noi stessi; è un atto di grande coraggio e responsabilità interrogarsi su cosa possiamo fare NOI.

Recensione “La Voce dell’Anima”: ritrovare se stessi

Alla fine della crisi Luca trova se stesso: si intuisce che trova un se stesso più consapevole, più autentico : “La questione su cui la mia attenzione si focalizza è la necessità di vivere consapevolemente mutando, con la volontà, i desideri, le emozioni positive , le dosi di veleno in elisir di buona vita…” Sempre nel libro di Pia Pera (affetta da una malattia neurologica degenerativa) :   “Che peccato! Questa espressione è un modo comune di esprimere rammarico. Suggerisce l’intuizione che il peccato non sia soltanto essersi macchiati di qualche indiscutibile gravissima colpa, ma più semplicemente aver mancato il bersaglio (il Graal direbbe Luca con una metafora), non essere riusciti a realizzare quanto avremmo voluto”.

Nell’introduzione Luca (pag 26) dice che “… La malattia ci aiuta a vivere qui e ora” e io vorrei concludere con una frase che tengo affissa come memento sulla mia libreria:

alla domanda “cosa l’ha sorpresa di più nell’umanità?”, il Dalai Lama ha risposto: “Gli uomini…perchè perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute.

Perchè pensano tanto ansiosamente al futuro che dimenticano di vivere il presente, in tale maniera non riescono a vivere né il presente né il futuro. Perchè vivono come se non dovessero morire mai e perché muoiono come se non avessero mai vissuto.”